La cucina fusion che futuro avrà in Italia?

La cucina fusion è un movimento culinario, nato con il processo di globalizzazione e dunque dallo scambio di culture diverse. Esistono vari filoni e tendenze gastronomiche della cucina fusion e in Italia - dove questa evoluzione si è diffusa negli ultimi vent’anni - c’è stata una prevalente influenza orientale, cino - giapponese. Ne abbiamo parlato con Paolo D’ercole, capo cuoco di Retro Food and Wine, noto ristorante di Roma, che ci ha raccontato la cucina fusion dal suo punto vista, le sue esperienze in cucina e il valore aggiunto dei prodotti giapponesi nelle ricette italiane.




L’evoluzione della cucina fusion e nuove tendenze

La cucina fusion è nata in Paesi come l’Australia, dove vi è stata una grande storia di immigrazione e integrazione - il melting pot. In questi posti, con l’unione di più culture, c’è stata inevitabilmente anche una fusione delle tradizioni culinarie.
In Italia, invece, la cucina fusion è arrivata più tardi, perché, come ci ha spiegato Paolo d’Ercole:“Il nostro Paese ha una forte tradizione culinaria e solo di recente si è capito, invece, che le influenze dal mondo sono un grande arricchimento.”
Nel nostro Paese si sono inclusi soprattutto i prodotti giapponesi, perché sono diventati una tendenza in cucina. Come ci dice Paolo:“Quella giapponese è una cucina divertente e stimolante per un cuoco italiano; dall’uso degli utensili professionali - pensiamo alle lame giapponesi - alla varietà che questa cucina orientale offre, come alimenti e colori. La cucina giapponese è una filosofia.”

Cucina fusion e reinterpretazione  

Grazie alla reinterpretazione dei piatti tradizionali, la cucina diventa fusion e si evolve, creando specialità al passo con i tempi. Questa reinterpretazione, come ci ha illustrato Paolo, non ha niente a che vedere con la rivisitazione di un piatto tradizionale.
“Se cucino un piatto tipico romano, in modo diverso, come, ad esempio, la gricia preparata con i carciofi,  faccio una rivisitazione. La reinterpretazione è invece un’altra cosa, è legata alle esperienze di un cuoco, che si affaccia al mondo, che studia, che si documenta e che legge. E importante capire perché quel piatto è realizzato così in quel Paese, le ragioni storico culturali. Il cuoco deve essere un messaggero, un veicolo di qualcosa che ha un significato profondo. La reinterpretazione  è possibile solo studiando la cucina di tutto il mondo, i profumi, le tecniche di preparazione, di cottura e i sapori.”
L’esperienza dagli altri piatti del mondo è dunque importante per la preparazione di un piatto fusion, che diventa, quindi, qualcosa di imprescindibilmente soggettivo.

Accostare gli ingredienti che stanno bene insieme non basta. Un piatto è fusion quando è immerso totalmente nella filosofia dell’ingrediente originale e di quello orientale. Il piatto deve suscitare un’emozione, delle sensazioni, in chi lo assaggia.

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Una ricetta di cucina fusion dello chef Paolo D'Ercole

Prodotti giapponesi: cosa regalano in più al piatto

La cucina asiatica è una questione di proporzioni tra gli alimenti, tra croccante, colore, quantità, morbidezza e tutte queste sensazioni devono essere incluse in un piatto fusion. 
Questi ingredienti etnici, quindi, danno una nota differente a quelli italiani e viceversa. Paolo ci ha raccontato che alcuni, ad esempio, hanno una masticabilità che non ti aspetti oppure sapori più profondi, pungenti e piccanti.
Gli ingredienti giapponesi - e anche le tecniche di preparazione e di cottura - forniscono a un piatto tradizionale italiano qualcosa di inaspettato, migliorandolo ad esempio con una sapidità o piccantezza differenti oppure con una croccantezza inusuale.
Il Giappone ci ha insegnato cos’è il gusto umami e sta poi al cuoco saperlo declinare, ad esempio, sulla carne, sul pesce o sul latticino. Infine, anche i colori di alcuni cibi regalano una grande valenza cromatica al piatto.

 

La cucina fusion giapponese - romana di Paolo D’ercole

Paolo D’ercole è capo cuoco del ristorante Retro Food and Wine di Roma e ciò che lo ha spinto a intraprendere questa strada è stata la grande curiosità e il fatto che, dal suo punto vista, cucinare e mangiare sono due modi per stare vicino alle persone a cui si vuole bene.
E così, Paolo ha abbandonato i suoi studi universitari in lettere moderne, per iniziare a studiare altro, un nuovo mondo, quello dei cibi e delle tradizioni.
“Sono un autodidatta -ci ha raccontato -  ho imparato cucinando e studiando da solo. Andavo due o tre ore prima dell’orario di lavoro in cucina per imparare, ho sbirciato le signore al MercatodiCampo di Fiori, per vedere  come loro pulivano i carciofi. Ho viaggiato e assaggiato le diversità culinarie.”
La cucina proposta da Paolo d’Ercole è tradizionalee nei piatti storici romani aggiunge gli ingredienti asiatici per esaltare e valorizzare questi ultimi.
“La mia la definirei una cucinaromana - etnica e una cucina pop, non intesa come moderna, ma piuttosto come popolare, tradizionale e comprensibile. I miei piatti fusion si avvicinano al pubblico con sapori esotici di tendenza, con un gusto orientale accessibile.Ma nella mia cucina, la tradizione c’è sempre, ma con quel pizzico di novità proveniente dall’oriente, per dare la possibilità a chi prova le mie ricette, di viaggiare lontano.

Mangiare deve essere un’emozione, deve dare delle sensazioni come la felicità. Quindi non una sensazione legata meramente al solo gusto, ma a qualcosa di davvero profondo. E questo è ciò che può rendermi appagato e felice per me e per i miei ospiti. Ho un modo molto  romantico di vivere la cucina”.

Paolo d’Ercole propone sempre qualcosa di nuovo, il suo menù di pesce, ad esempio, cambia tutti i giorni, perché crede molto nella crescita continua di un cuoco, nell’importanza di imparare sempre cose nuove, sperimentando e reinterpretando i gusti tradizionali e recuperando anche quei prodotti che un giorno, probabilmente, non si cucineranno più come i cardi oppure alcune varietà di pesce azzurro.